Il MASTINO ABRUZZESE: ORIGINE ED EVOLUZIONE

Il Mastino abruzzese, detto anche pastore abruzzese, discende direttamente dal “canis pastoralis”, anche se sarrebbe più corretto dire che è quel cane, poiché é rimasto pressoché inalterato nel corso dei millenni. Viene citato in vari trattati latini inerenti alle pratiche agrarie (“De re rustica”), sia da Marco Terenzio Varrone (II°-I° secolo A.C..) che da Lucio Giunio Moderato Columella (I° secolo D.C.) . Le sue origini si perdono nella notte dei tempi; secondo gli studi più accreditati, discenderebbe da una popolazione di grossi canidi di tipo molossoide primitivo, caratterizzati dalla folta pelliccia bianca e dalla testa simile a quella dell'orso, la cui presenza era maggiormente diffusa nel continente asiatico, poi diffusosi sul continente europeo.

A seguito della loro domesticazione, avvenuta presumibilmente dopo l'ultima era glaciale da parte di popolazioni dedite alla pastorizia errante, si verifico' la loro diffusione in tutta Europa, in conseguenza di migrazioni e spostamenti da parte delle popolazioni nomadi dedite alla pastoria che li avevano al seguito; ciò ha portato alla caratterizzazione di determinate linee di sangue e allo svilupparsi di diverse razze di grandi guardini di armenti e villaggi in diversi paesi (Kuvaz, Pastore di Tatra, Cane da Montagna dei Pirenei, Cane da Pastore della Russia Centrale e, naturalmente, il nostro Pastore Abruzzese).

Tra le principali caratteristiche che hanno portato le popolazioni primitive di pastori ad eleggerlo come cane prescelto per la custodia del bestiame, ci sono certamente le straordinarie doti fisiche e caratteriali. In epoche oscure, dove spadroneggiavano grandi e feroci predatori quali orsi, lupi, linci, puma, cani selvatici, e... uomini, era essenziale avere un fedele e dissuasivo coadiuvante nella salvaguardia degli animali allevati allo stato brado, in continue e lunghe transumanze, nonché nella custodia degli accampamenti.

Quindi, grande importanza aveva un cane di taglia imponente, forte costituzione ossea, ma, al contempo, dotato anche di agilità e resistenza nei lunghi spostamenti, adattabile a qualsiasi condizione climatica, spartano nell'alimentazione e, non ultimo nell'importanza della scelta “di tipo”, il colore bianco, che, da un lato, lo rendeva affine agli ovini e facilmente individuabile in caso di baruffe notturne con predatori, e , dall'altro, costituiva un elemento “spia” di eventuali “inquinamenti genetici” ad opera di altre razze, che avrebbero potuto comprometterne l'attitudine alla custodia del bestiame. La stessa importanza rivestiva la tessitura del manto, composto da folto sottopelo che lo rende, ancora oggi, efficiente, grazie alla sua impermeabilità, fondamentale in condizioni ambientali estreme, tale da consententirgli di rimanere imperturbabile durante lo svolgimento del suo compito. Inoltre, una folta pelliccia costituisce anche un'ottima barriera protettiva nei confronti di zanne e artigli.

Unico e indiscusso è il suo coraggio, che lo porta a difendere senza mai indietreggiare ciò' che alla sua custodia viene affidato, portandolo ad affrontare predatori anche più grandi di lui, con cui, all'occorrenza, ingaggia lotte fino all'ultimo sangue, uscendone non di rado vincitore. In normali condizioni, i mastini lavorano in branco, al minimo sentore di pericolo essi fanno cerchio attorno al gregge, come in epoche remote facevano anche in difesa degli accampamenti. Mentre il capo branco si fa incontro al nemico per spaurirlo nel tentativo di farlo desistere, i membri del branco rimangono al loro posto, ringhiando minacciosamente; le femmine con i cuccioli usano andare verso il centro del gregge, mentre il maschio dominante, si erge in tutta la sua possenza, emettendo cupi latrati, senza indietreggiare, pronto ad ingaggiare la lotta. Un capo branco deve fare questo per definirsi tale, altrimenti non gli verrebbe riconosciuto più il suo ruolo. A lui il privilegio di trasmettere i geni: mangia per primo, quindi in maniera più adeguata, procede avanti a tutti accertandosi che non vi siano pericoli per gli altri, e, se ve ne sono, ne incorre per primo, ma è anche il più adeguato per affrontarli; è un sistema molto equilibrato ed efficiente.

Spesso, il proseguimento della razza tra questi cani avviene in consanguineità,a volte anche stretta, per diverse generazioni, finché il pastore non decide di immettere soggetti di altre linee di sangue o incontri con altri pastori non portano ad accoppiamenti spontanei. Nonostante queste consanguineità ripetute, ho potuto constatare personalmente la robustezza, la longevità e l'equilibrio psichico di questi cani, chiedendomi come ciò fosse possibile.

Sono rimasto impressionato dal bassissimo tasso di mortalità tra i cuccioli, seppur figli di consanguinei stretti, nati nella rete in mezzo alle pecore, trascurati dall'uomo, privi di ogni riparo ed esposti a tutte le avversità atmosferiche. Diverse volte discorrendo di cinofilia con amici appassionati ci siamo posti delle domande che per la verità sono alquanto comuni quando si disquisisce di miglioramento genetico, e quindi di salute e allevamento; Perché invece la consanguineità voluta in allevamento dall'uomo porta disfunzioni fisiche e caratteriali? Perché invece gli accoppiamenti tra consanguinei che avvengono spontaneamente all'interno del branco non nuocciono particolarmente alla salute della specie?

L'unica spiegazione possibile, a seguito di osservazioni fatte sul campo stà nel fatto che, nel branco, si accoppiano solo il maschio dominante e, in genere, la femmina dominante; infatti, il capobranco impedisce agli altri maschi di accoppiarsi e la femmina dominante fa lo stesso con le altre cagne, si presume per un motivo ben preciso: perché i dominanti che vanno in riproduzione sono i portatori di un patrimonio genetico sano e forte, tanto da trasmettere solo, o almeno gran parte, di geni sani alla progenie anche in stretta consanguineità,sebbene la consanguineità non è mai preferibile. Il resto lo fa la selezione naturale e l'adattamento ambientale della specie, soprattutto in un contesto di avversità ambientali, un'alimentazione spesso precaria, situazioni igieniche tutt'altro che salubri.

Ad oggi, la situazione della razza non è pessima, ma neanche delle migliori, oramai è anche difficile parlare di razza unica, data la netta differenzazione evolutiva trà linea verace, originaria, da lavoro, denominata Mastino Abruzzese o Pastore Abruzzese e quella selezionata a scopi espositivi che è quella riconosciuta ufficialmente con il nome di "Pastore Maremmano Abruzzese". A seguito del ridimensionamento del mondo agro-pastorale, si è verificata una conseguente riduzione dei soggetti rustici da lavoro, sostituiti nella rappresentazione della specie, soprattutto a livello ufficiale, da soggetti tipo “Maremmano-Abruzzese” da esposizione, molto meno robusti, meno affidabili dal punto di vista psichico-caratteriale, in conseguenza di una serrata selezione in consanguineità “artificiale”, alla ricerca del bianco perfetto, delle orecchie perfettamente aderenti alla testa, del tartufo perfettamente nero ecc.

L'attuale standard certamente penalizza la razza, rinchiudendola in un “tipo”che non gli è proprio e che esclude caratteristiche tipiche del mastino abruzzese da migliaia di anni di storia. Posso citarne alcune riscontrate da me personalmente : taglia maggiore (anche di molto) rispetto a quella massima prevista dallo standard E.N.C.I.-F.C.I.; orecchie a volte distaccate e semi-erette con l'animale in stato di attenzione; tartufo di colore fegato, rosa, viola, o rosa misto a nero; pelo lungo ben oltre i dieci centimetri previsti, alle volte anche sul muso, da qui il cosiddetto Pastore Abruzzese "baffo”, sebbene questo sia un gene recessivo di una certa rarità che comporta,a volte, una struttura diversa negli assi cranio-facciali e quindi nella conformazione del muso che risulta essere più allungato e meno squadrato; alta percentuale di soggetti con quinto dito, speroni, doppio sperone con o senza articolazione, segno, quest'ultimo, distintivo delle razze primitive; il colore non sempre bianco candido può avere sfumature giallo pallido, rosa antico nei cuccioli, che si andrà a schiarire poi, con la crescita; la pigmentazione della pelle e del palato rosa-nero, o solo rosa, che, unito alle sopracitate caratteristiche morfologiche riscontrate, non comportano nessun tipo di problematica alla salute e alla funzionalità del cane Pastore Abruzzese, ma sono semplici caratteristiche che anzi, contribuiscono alla variabilità genetica della specie, e quindi, alla sua salute, migliorandone la qualità del patrimonio genetico. Per quanto riguarda coda e orecchie, i pastori atavicamente usano praticare la conchectomia, per evitare che il cane risulti vulnerabile nei combattimenti con i predatori e nelle competizioni di carattere sociale interne al branco; le orecchie vengono tagliate cortissime, arrotondate, intorno alla terza settimana di vita.La testa ricorda quella dell'orso; il peso va dai 40 agli 80 kg in alcuni soggetti; la chiusura dentaria è generalmente a forbice diritta o a tenaglia in taluni soggetti; il pelo del collo tende a formare una criniera che gli da un aspetto leonino.

Viene definito, per l'appunto, “Cane Felino”, certo anche per via del carattere schivo, diffidente, indipendente, capace , in caso di necessità, di prendere decisioni in autonomia. Tende ad instaurare con il capo umano un rapporto paritario, fatto di collaborazione e fedeltà, ma senza servilismo o troppe smancerie che non gli sono proprie.

Nella cinofilia ufficiale ad oggi si annovera solo il Pastore Maremmano Abruzzese, che però è ormai ridotto ad un grosso peluche bianco, da esposizione, ridimensionato nel fisico oppure, laddove rimasto intatto nella struttura, gravemente mutilato nell'indole, in quanto la gran parte dei soggetti oramai è affetta da overbreeder, e manifesta segni di squilibrio emotivo: cani nervosi, con la tendenza ad abbaiare molto e inutilmente, con caratteri ombrosi e imprevedibili, inadatti ai disagi climatici, non testati sul lavoro da troppe generazioni, con il risultato che laddove vengono messi alla prova, manifestano poca affezione per il bestiame, cosi da generare confusione e gettare discredito sulla vera razza che è il Mastino Abruzzese/Pastore Abruzzese, che sopravvive, in maniera discreta, quasi sconosciuta ai più, non certo nei box degli allevamenti, ma in ambito agropastorale, in particolare in Abruzzo e nelle regioni limitrofe, in mano a gente che non ha nessun interesse in esposizioni o riconoscimenti ufficiali, tanto sono soddisfatti di come i loro cani lavorano, che questo gli colma qualsiasi ambizione.

Al patrimonio genetico del Maremmano Abruzzese è venuto a mancare l'apporto di Intere linee di sangue antiche, selezionate per funzionalità, che sono state lasciate al loro destino perché non corrispondenti ai gusti estetici degli allevatori e giudici più influenti, magari perché semplicemente difformi dai soggetti presenti nei loro allevamenti. E quindi.... fuori dalla selezione ufficiale soggetti con speroni, doppi speroni, soggetti di grande mole, o con orecchie non perfettamente aderenti, occhi gialli, nasi rosa, soggetti a pelo lungo spesso molto oltre i 10 cm, o a pelo lanoso, soggetti particolarmente snelli e agili magari eccezionali nel lavoro in determinate circostanze territoriali, ma.....troppo lontani dai gusti dei “Principi delle Passerelle”, e dallo standard: purtroppo chi redige gli standard raramente utilizza i cani come coadiuvanti nel lavoro per il quale la razza è stata selezionata.

Sopravvivono ancora, in contesti di utilizzo, linee di sangue di Mastino Abruzzese/Pastore Abruzzese verace con le vere caratteristiche tradizionali della razza già citate, circoscritte al mondo della pastorizia, allevate da appassionati che non ambiscono alla gloria delle passerelle, ma che trovano soddisfazione maggiore nell' avere dei soggetti imponenti, al contempo funzionali, con le caratteristiche attitudinali e fisiche atte al loro lavoro.

Si tratta di cani con caratteristiche teste molto marcate, grande ossatura, pelo spessissimo, musi pieni, mascelle forti. Taluni soggetti sono anche di tipo "baffo", altri marcatamente molossoidi, ma anche di tipo più lupoide, differenti trà loro per taglia e morfologia, a seconda della zona, del contesto specifico e dei gusti selettivi dei pastori che li detengono, ma tutti accomunati dai tratti tipici inequivocabili che caratterizzano i veri discendenti dei "canis pastoralis" italici ; un grande equilibrio psichico, stabilità emotiva, affezione per il bestiame, tempra, coraggio, movimento e andatura "rilassata", cani con il "nervo morbido", mai isterici, grande rusticità , salute, e quell'espressione caratteristica che è unica e rende inconfondibile chi appartiene a questa razza aldilà della taglia e del tipo di pelo. Ancora oggi, questi cani custodiscono le pecore imperturbabili, sotto la pioggia battente, in mezzo alla neve, sotto al sole, esposti a tutto sensa alcun riparo, e all'occorrenza affrontano lupi, cani randagi, cinghiali e ,seppur raramente, anche l'orso, con la stessa determinazione e lealtà che ha da sempre contraddistinto il Mastino Abruzzese/Pastore Abruzzese tradizionale, fino ad ottenere l'apprezzamento a livello mondiale per le sue caratteristiche uniche.


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